“Brahms, è lei?” Questioni di stile
16 GENNAIO 2020 | GIACOMO FIORI
Filini: “Dunque, cammuffiamo la voce. Molletta…molletta! (la mette sul naso di Fantozzi) Patata…patata! Apra la bocca… imbuto, imbuto, imbuto…lo regga…asciugamano, asciugamano che copre …respira?”
Fantozzi: “Mhmhmh (soffocando)…faccio l’accento svedese?”
Filini: “Lo sa fare? Lo facci, va bene, va bene. Faccio il numero. 4…7…8…1…(il Visconte risponde e passa la cornetta a Fantozzi) Nella conca!”
Fantozzi: (catapulta la testa tutta imbacuccata nel pentolone) “Buondììì…”
Visconte Cobram: (senza esitazione) “Fantozzi, è lei?”
Ecco, i compositori sono un po’ così, come Fantozzi. Camuffali quanto ti pare, fa che indossino altre vesti, altri stili, forme popolari, canti di strada, canti di chiesa…eppure, rimangono sempre loro, sempre intatti, sempre riconoscibili. Brahms che scrive le Danze ungheresi e il Requiem tedesco, Ravel che compone fox-trot e blues all’americana e poi ti spara la Rapsodia Spagnola (con timbri e melodie – appunto – spagnoleggianti), all’ascolto rimangono comunque loro stessi. Se uno ha un po’ di familiarità con questi grandi compositori non stenterà ad affermare: “Ah questo è Ravel! Questo è Brahms!”.
Ma come fanno a farsi riconoscere in qualunque situazione? Come fanno a crearsi il proprio “marchio”? Per spiegarlo probabilmente dovrei allegare a questo articolo i principali trattati di composizione e orchestrazione in commercio, ma anche senza cadere nelle più tecniche e specialistiche spiegazioni possiamo avvalerci di qualche metafora.
Ogni compositore si sceglie la propria veste. Non si capisce con quanta coscienza la scelga in realtà; può essere una scelta ragionata e ponderata, costruita a tavolino, così come semplicemente un riflesso del proprio modo d’essere e, ovviamente, del periodo e del luogo di appartenenza. Brahms, che aveva una discreta stazza e viveva in pieno ‘800, era incline a indossare larghe vesti che fossero appropriate alle sue dimensioni, così come foulard che sembrano continuare quella cascata della sua folta barba. Ravel, un omettino che visse tra ‘800 e ‘900, che si vestiva maniacalmente con tiratissime giacche gessate, doppiopetto, cravatte a pois e scarpe lucidissime, aveva in tutto e per tutto l’aspetto di un riuscitissimo dandy. Perché si vestivano così? Perché a quei tempi la moda aveva certe tendenze, perché il loro aspetto e struttura fisica trovava probabilmente l’ideale abbigliamento in quei modelli di vestiario, e soprattutto perché a loro piaceva così. Se io vestissi oggi, nel 2020, come Ravel mi prenderebbero per pazzo, destando forse l’interesse al massimo di qualche bella nonna novantenne.
I compositori, per così dire, fanno visita alla “boutique” dei grandi compositori del passato, e vedono cosa possono offrire e qual’è il “prezzo da pagare”. Un compositore può prendere un’idea semplice, facile da un altro e farla propria con il proprio stile a “basso prezzo”. Viceversa, il prezzo da pagare sarà tanto più alto quando il compositore si vorrà inserire sulla scia di un grandissimo che con certe sue composizioni ha cambiato la storia della musica.
Un esempio su tutti: Beethoven. Una volta morto, tutti provavano un certo timore, una certa riverenza nei confronti della sua opera e nel proseguire la sua linea, considerata la sua grandezza; chi voleva prendere la sua scia doveva fronteggiare qualcosa di grandioso ma di altrettanto pericoloso. Un po’ come la scena della gara ciclistica di Fantozzi – ancora lui! – nella quale un ciclista si attacca alla bicicletta di Fantozzi (dopato) e una volta ancorato è costretto a seguirlo a una pericolosissima e folle velocità (infatti perderà poi il controllo e volerà dritto dritto sui tavoli della gaia “Trattoria del curvone”). Ecco, la composizione del genere della sinfonia doveva assolutamente essere vista sotto un’altra luce (Beethoven con la nona aveva sconvolto completamente la tradizione sinfonica). E chi si voleva cimentare dunque in questo arduo compito doveva “pagare” un prezzo salatissimo in termini di fatica, impegno e creatività.
Qualcuno c’è riuscito: è proprio Johannes Brahms; e ci è riuscito a tal punto che la sua prima sinfonia viene definita “la decima di Beethoven” (e ci immaginiamo la risposta adirata di Brahms: “Ma come la decima di Beethoven! L’ho scritta io sta roba!!”). Qualcun altro c’è riuscito “di meno”, come Franz Schubert, che amava Beethoven a tal punto da farsi seppellire al suo fianco, le cui sinfonie non sono rivoluzionarie come quelle di Beethoven (seppur bellissime). Infatti il suo peso si sente più che altro sulle canzoni, lieder, e sulla musica da camera. Qualcun altro, anch’esso forte ammiratore di Beethoven, Richard Wagner, c’è riuscito ancora meno. Infatti il suo peso sulla storia della musica si sente non con le sinfonie (ne ha scritta solo una, per giunta bruttina) ma con le opere liriche (che chiamava Drammi; guai a chi le chiama opere liriche!).
Capiamo quindi che, anche se prendono qualcosa in prestito da altri, i compositori grandi, ma solo quelli grandi per davvero, sanno farlo con arte e per la loro arte, altrimenti non sarebbero diventati quel che sono. E, per di più, anche se non prendono qualcosa in prestito è come se l’avessero fatto, dato che si lavora anche in “negativo”, cercando di capire cosa non conviene fare, cosa non è più facile fare, cosa non mi calza, quale strada non mi conviene prendere. Se “Via L. van Beethoven” è stata sbarrata per una grossa frana del “Monte Sinfonia” allora viene aperta come via alternativa “Via R. Wagner” che, inaspettatamente, apre scenari nuovi e sorprendenti. E una volta che si sono sistemate le macerie e le pietre si può riaprire “Via L. van Beethoven” e, perché no, darle un nuovo nome: “Via J. Brahms”. Insomma, tornando a noi, tutti loro e molti di quelli che non ho citato, sono dei personaggi così unici e carismatici che non basta ricoprirli di costumi bizzarri per impedirne il riconoscimento, sarebbe proprio necessario cambiare direttamente il personaggio! Il personaggio travalica il suo costume. Fantozzi è Fantozzi, sempre e comunque, anche imbacuccato di sciarpe, patate in bocca, accento svedese (anche se in realtà il riconoscimento da parte del Visconte Cobram è permesso non in virtù di Fantozzi personaggio caratteristico ma di Fantozzi eterno sfigato). Allo stesso modo anche Brahms, alle prime note di un suo brano emesse da un pianoforte, un’orchestra, un CD (o quel che è), uno potrebbe destarsi dal suo rincoglionimento mediatico e chiedere repentinamente per la gioia della cultura: “Brahms, è lei?”.
GIACOMO FIORI – Santarcangiolese, pianista rodato, compositore in erba e docente di musica, cerco di affrontare questa disciplina a tutto tondo oltre che a integrarla anche con i passati studi artistici. Perché “la bellezza salverà il mondo”.
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!